ESCLUSIVA - Acquafresca: "Diego Lopez mi affidò il numero nove. Allegri? Prima la sfuriata, ma poi..."

Robert Acquafresca è uno dei volti celebri del Cagliari di Allegri. Una squadra che, tutt’oggi, è ricordata per quanto fatto vedere nel 2008/2009: dopo cinque sconfitte consecutive, i rossoblu iniziarono una cavalcata incredibile. E indovinate un pò chi diede il via a quel cammino? Già, proprio l'ex numero nove dei sardi. Il gol vittoria contro il suo Toro, “salvò” il tecnico di Livorno da lì sbocciò il rapporto tra i due.

Nella diretta Instagram con Matteo Corona, la punta ripercorre alcune tappe della sua carriera, raccontando aneddoti e curiosità nella sua esperienza al Cagliari.

Come stai passando queste giornate?

“Stiamo a casa. Grazie a Dio abbiamo il giardino, per i bambini è importante. Penso a tutte le persone che non hanno questa fortuna, o anche ai miei genitori. Stiamo vivendo un momento particolare, dobbiamo resistere”.

Hai raccontato che, fin dai bambino, eri innamorato del pallone. È vero che quando vedevi l’anguria dicevi ai tuoi genitori che quella era la palla verde?

“Confermo, ero già malato di calcio fin da piccolo. Una passione che ho dentro da sempre”.

Sei cresciuto nelle giovanili del Torino. Cosa hanno rappresentato per te i granata?

“Hanno rappresentato tanto. Crescevi e vedevi cosa stavi diventando. Più andavo avanti e più cullavo il mio sogno di diventare calciatore professionista. Stavo per esordire ed è stato un vero peccato. La sfortuna è stata quella di veder fallire una società del genere, ma da lì è poi iniziato il mio cammino”.

Dopo il fallimento ti hanno cercato diverse squadre, compresa l’Inter. Ti aspettavi un seguito così significativo?

“Sinceramente no, non ci pensavo proprio, per me si era aperto un mondo. Io studiavo, mi allenavo e tornavo a casa, vivevo nel paese dei balocchi per certi versi. Quando il Torino ha fallito e ho visto tutte quelle richieste mi ha fatto piacere. Significava che stavo facendo le cose fatte per bene”.

L’Inter ha creduto fortemente in te e ti ha strappato alla concorrenza. Per la tua famiglia, che ha sempre amato i colori nerazzurri, è stata un’emozione incredibile?

“Mio padre e mio mio nonno sono interisti. Io tifavo la Beneamata quando ero più piccolo. In quel momento è stato il massimo”

Ci spieghi il tuo forte e profondo legame con la Sardegna?

“La Sardegna ti entra dentro per com'è, per la sua bellezza. Non è solo il mare, non è solo l’estate: c’è un clima che ti fa stare bene tutto l’anno, anche l’inverno. E’ una regione meravigliosa. Una volta che si aprono, i sardi diventano persone stupende”.

A 18 anni hai esordito contro il Livorno in Serie A con la maglia del Treviso. Un regalo magico…

“Esatto, Treviso-Livorno nello stadio del Padova, perché il nostro non era omologato. Un regalo unico, che supera tutti gli altri. Lo porterò dietro tutta la vita. Poi loro avevano Lucarelli, un giocatore che ho sempre ammirato. Prima della partita il medico scherzando mi diceva che forse sarei entrato e magari avrei anche segnato. Non ho fatto gol, ma l’emozione rimarrà per sempre nel mio cuore”.

A 20 anni, invece, arriva il primo acuto contro la Lazio con la maglia del Cagliari. Quella stagione riesci a far anche al Milan, una delle squadre più forti al mondo…

“Quando arrivi a giocare in Serie A con continuità, cerchi non fermarti. Mi spiego meglio: nessuno ti ha regalato niente, giochi contro squadre fortissime e vuoi continuare a dimostrare il tuo valore. Il Milan aveva calciatori del calibro di Maldini, Nesta, Pirlo, Gattuso, Ronaldinho e Ronaldo. Di cosa stiamo parlando? (dice scherzando, ndr)”.

Appena arrivi a Cagliari, c’è un’asta per la maglia numero nove. Alla fine ti aggiudichi tu quel numero, ma c’è un intervento speciale…

“Proprio così. Arrivo a Cagliari ed il nove è libero, il numero della prima punta. In quegli anni, però, il valore del nove era reso ancor più significativo dal fatto che lo aveva indossato David Suazo, un’istituzione in Sardegna. Alla fine Matri decide di optare sul 32, sulla scia di Vieri e Brocchi, mentre Larrivey ha preferito andare sul 19. Cosa succede? Diego Lopez si avvicina, dicendomi di non rompere le scatole e di prendermi io quella maglia. Avevo un bel fardello, non dovevo far rimpiangere Suazo. E’ andata abbastanza bene per fortuna. Lopez è un mio caro amico, un grande uomo. L’ho avuto anche come allenatore”.

Sei mai stato vicino a qualche squadra di Premier League?

“Sì, in particolare mi hanno cercato Wolverhampton e Middlesbrough. Il problema è che, le due inglesi, offrivano solo dei contratti basati sul prestito. Io, invece, preferivo una cosa più solida e con più garanzie”.

Il rapporto con mister Allegri non sboccia subito. Anche perché nel 2008 il Cagliari inizia perdendo consecutivamente le prime cinque di campionato. Poi, però, col Toro arriva la svolta…

“Prima di quella partita Allegri rischiava la panchina. Con me c’era stata una sfuriata, da uomini ci siamo detti cosa pensavamo l’uno dell’altro: ero appena tornato dalle Olimpiadi con la Nazionale, lui vedeva in me che qualcosa non andava. Io non giocavo, Max non otteneva punti. Prima della sesta giornata di campionato aveva avuto l’ultimatum da Cellino. Parto dalla panchina, entro nel finale e segno il gol vittoria contro il Torino. Da lì è nato un bel rapporto, ci sentiamo tutt’ora. Il mister è uno dei migliori al mondo, anche all’epoca con noi era eccezionale: aveva sempre la battuta pronta e giusta, anche durante le cene di squadra faceva gruppo. Un gran personaggio”.

Perché non si è concretizzato il tuo trasferimento alla Lazio?

“Per due volte sono stato vicino ai biancocelesti. Nel primo caso avevo già firmato con il Genoa, tra l’altro quell’anno anche il Napoli mi cercava. Nel secondo caso, invece, ho preferito andare nuovamente a Cagliari perché l’annata prima non era andata bene”.

Conosciamo un aneddoto simpatico su Sant’Efisio. Era un periodo che non riuscivi a trovare la via del gol e, durante la festività religiosa, un signore in sardo ti dice di toccare la statua del Santo così ti saresti sbloccato. Tua moglie pensava che non avessi capito, ma tu fai una cosa molto carina…

“Esattamente. Un signore in sardo mi ha diede questo consiglio e mia moglie mi spiegò il significato delle sue parole. Io, però, intesi benissimo e, in qualche modo, gli spiegai sempre in sardo di aver capito. Scoppiammo a ridere. Dopo quanto ho imparato a parlare il sardo? Dopo circa tre anni, mia moglie non è una brava insegnante (dice scherzando, ndr), i miei suoceri sono più bravi”.

Con Davide Astori avevi un rapporto speciale, un’amicizia profonda che vi ha legato in modo profondo…

“Davide era un ragazzo pulito e semplice. Oggi giorno si fa fatica a trovare delle persone con i suoi valori. Non aveva strani grilli per la testa, non l’ho mai sentito dire una parolaccia. Abbiamo condiviso tanto insieme, ci siamo conosciuti ai tempi dell’under. Quando fai parte di una squadra, vuoi o non vuoi, sei costretto a condividere lo spogliatoio con tutti i componenti del gruppo, come è giusto che sia. Fuori dal campo, poi, decidi tu con chi trascorrere il tempo libero, lì non ci sono obblighi. Abbiamo passato dei Capodanni e vacanze insieme. In questo momento ci auguriamo che ci protegga da lassù. Magari fossero tutti un pò Davide Astori”.

Il giocatore più forte contro il quale hai giocato e quello più forte con cui ha giocato?

“Come avversari, ti dico Messi e Ronaldo. Chi scelgo? Sono troppo diversi. Personalmente rispondo il portoghese perché è più arrivabile dell’argentino. Come compagni ho avuto tanti compagni forti: Conti, Cossu, Fini, Palacio, Quagliarella, spero non di scordare nessuno. Cossu era davvero molto forte”.

Il migliore allenatore con il quale hai lavorato?

“Allegri, anche se come ho detto l’inizio è stato difficile. Ballardini, che ha ottenuto una gran salvezza. Gasperini, ottimo tecnico”.

Dopo il Sion, hai avuto qualche offerta?

“Sì, soprattuto da leghe minori ma non l’ho reputate consone. Sai, non è questione di dignità, ma dopo tanti anni in A ed altre esperienze significative, se devi chiudere lo vuoi fare in un certo modo. Se accettassi un’offerta, dovrei esserci al 100% con gli stimoli”.

Hai mai pensato ad una partita d’addio magari alla Sardegna Arena?

“La verità? Sarebbe bellissimo. Devo dire, però, che nemmeno Cossu e Conti l’hanno fatta, quindi non so quanto sarebbe giusto. Io avrei desiderato chiudere la carriera col Cagliari”.